BATTUTA D’ARRESTO PER IL PROGRAMMA SETI

La crisi colpisce E.T.

La mancanza di fondi costringe a sospendere l'attività dell'Allen Telescope Array, in California, tra i principali siti per la ricerca degli alieni. Appello alle donazioni private. In Italia la caccia continua a Medicina. A costo zero. Montebugnoli (INAF): "Mentre osserva l'Universo, la parabola registra eventuali interferenze radio. Finora senza risultati ma... mai dire mai".

     02/05/2011

Se E.T. chiama, pazienza. Si farà risentire in un altro momento. Per problemi di budget è stato sospeso uno dei pilastri del programma SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence), il progetto fantasmagorico che da oltre 50 anni insegue i segnali radio provenienti dall’Universo in cerca di altre forme di vita. Purtroppo, ancora senza successo. Proprio quando la ricerca sembrava vicina a un punto di svolta – grazie ai nuovi, intriganti scenari spalancati dal cacciatore di pianeti, il telescopio Kepler della NASA – la scure dei tagli s’è abbattuta sull’Allen Telescope Array (ATA), una rete di 42 parabole situata vicino Hat Creek, tra le montagne della California settentrionale. Non ci sono più soldi per proseguire la ricerca, ha dichiarato nei giorni scorsi Tom Pierson, a capo dell’Istituto SETI, ragion per cui le antenne sono state messe in stato d’ibernazione, in attesa di tempi migliori.

Finora, l’ATA ha beneficiato dei finanziamenti elargiti dal miliardario Paul Allen, co-fondatore di Microsoft, e dei fondi della Berkeley University, ottenuti tramite la National Science Foundation e lo stato della California. Ma le casse federali piangono, e 2,5 milioni di dollari all’anno per cercare gli alieni sono tanti, troppi in tempo di crisi. SETI comunque non ha nessuna intenzione di rinunciare alla sua missione. Sta cercando di convincere la US Air Force a sganciare un po’ di denaro, perché la ricerca di segnali radio dal cosmo potrebbe tornare utile anche all’aeronautica per monitorare i detriti spaziali. E fa appello ai suoi fan perché facciano una donazione. Il tam-tam corre sul web, e ci sono buone speranze di raggiungere i 5 milioni di dollari necessari a una campagna d’osservazione biennale sui candidati pianeti scoperti recentemente dal telescopio Kepler. Anche se in questo momento l’ATA se la passa piuttosto male, proseguono invece le attività di Seti@home, un progetto a cui ognuno può collaborare dedicando i tempi morti del proprio pc all’analisi dei dati del telescopio di Arecibo, così come va avanti l’attività SETI nell’ambito delle ricerche del radiotelescopio LOFAR. Recenti studi in questo ambito lasciano intravedere la possibilità di scoprire nuovi pianeti extrasolari, e quindi ricercarvi tracce di vita, semplicemente “ascoltando” le emissioni radio che viaggiano nel cosmo.

Anche l’Italia dà il proprio contributo alla causa del SETI,  presso la stazione di radioastronomia di Medicina. “Ma a differenza del’Allen Telescope Array, che viene puntato a comando per inseguire le sorgenti radio ‘sospette’, il radiotelescopio di Medicina è dedicato al 100 per cento alle osservazioni astronomiche schedulate, solo che parallelamente approfitta per controllare eventuali interferenze radio che potrebbero minacciare l’operatività del telescopio stesso”, spiega Stelio Montebugnoli, ricercatore dell’INAF-IRA di Bologna. “In pratica, la caccia a forme di vita extraterrestre è un effetto collaterale, a costo zero, della nostra ricerca in campo radioastronomico. Come dire, prendiamo due piccioni con una fava”.

Tuttavia, anche a Medicina di E.T. nessuna traccia. “Non abbiamo ancora trovato niente, ma intanto abbiamo tenuto sotto controllo le interferenze radio dal cosmo e il futuro potrebbe sempre riservarci delle sorprese”, prosegue Montebugnoli. “Il fatto che SETI si sia rivelato un buco nell’acqua non significa che là fuori non ci sia nessun altro. Potrebbe voler dire che abbiamo guardato nel punto sbagliato, nel momento sbagliato o nel modo sbagliato. Come disse Martin Rees, la mancanza dell’evidenza non è l’evidenza della mancanza”.

In effetti, i ricercatori hanno esaminato appena un miliardesimo dello spazio e delle frequenze, che potrebbero eventualmente rivelare la presenza di extraterrestri. Con 50 miliardi di pianeti nella nostra galassia, la statistica, in fondo, gioca a favore. E la vita sulla Terra è la prova, dopotutto, che la probabilità che si possa sviluppare la vita su un pianeta è diversa da zero. “Peraltro – conclude Montebugnoli – indipendentemente dal fatto che il SETI riesca o meno a rispondere alla domanda se siamo soli nell’Universo, rimane un programma estremamente importante per le sue ricadute tecnologiche. Sono fiducioso che l’ATA troverà industrie disposte a sostenerne le spese”.