MINI-MICROSCOPI DAI MAXI-TELESCOPI

L’endoscopio di Galileo

Arriva da una collaborazione tutta padovana, quella fra l’INAF e il Venetian Institute of Molecular Medicine, una famiglia di dispositivi ottici innovativi per applicazioni biomedicali. Si chiamano “Microscopy Smart Optics”, e permettono di ottenere immagini ultra-nitide da sonde poco invasive.

     25/03/2011

Miglioramento introdotto dall'ottica adattiva su un campo campione, con lato di ~ 100 µm, costituito da sfere plastiche fluorescenti (diametro ~ 1 µm)

E dove, se non nella città dove Galileo trascorse “li diciotto anni migliori di tutta la mia età” molando lenti e perfezionando cannocchiali, potevano nascere ottiche rivoluzionarie? Frutto d’una collaborazione gomito a gomito fra medici, biologi e astronomi, hanno enormi potenzialità in campo diagnostico e di ricerca. Le chiamano “smart optics”, ottiche intelligenti. E intelligenti lo sono davvero: grazie alla fusione di due tecnologie innovative, quella delle ottiche adattive e quella degli obiettivi a fibra graded-index, permettono di realizzare obiettivi di appena mezzo millimetro di diametro – uno o due ordini di grandezza più contenuti, dunque, rispetto agli obiettivi basati su ottiche classiche – mantenendo una qualità dell’immagine strepitosa. Veri e propri microscopi in miniatura, dunque. Ottenuti, ed è qui l’aspetto più sorprendente, grazie all’esperienza acquisita dagli astronomi sui più grandi fra i telescopi.

Un lavoro di ricerca, quello alla base delle Microscopy Smart Optics (MSO) padovane, che più interdisciplinare non si potrebbe. I protagonisti, infatti, sono gli scienziati dell’INAF-Osservatorio Astronomico Padova, i ricercatori del Venetian Institute of Molecular Medicine (VIMM, sempre di Padova) e la società tedesca Grintech. Grazie a un finanziamento destinato ai “Progetti d’eccellenza” della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, hanno messo insieme un team che sviluppa microscopi miniaturizzati.

A che scopo? Gli attuali obiettivi utilizzati nella microscopia applicata alla biologia, basati su ottiche tradizionali, presentano volumi e ingombri spesso proibitivi per l’indagine su campioni difficili da raggiungere. Un caso tipico è quello della microscopia in vivo, per la quale è necessario l’inserimento dell’obiettivo stesso nella zona in esame. La tecnologia MSO, con i suoi obiettivi miniaturizzati ma ad alta qualità d’immagine, permette di superare l’ostacolo, aprendo nuove possibilità d’indagine per la microscopia in vivo (in varie modalità: confocale, a fluorescenza, OCT), per le sonde endoscopiche (sia per applicazioni biologiche che per analisi superficiali di materiali) e nella realizzazione di optical tweezer per applicazioni in sistemi micro e nano strutturati.

Abbiamo chiesto al responsabile INAF del gruppo di ricerca, Favio Bortoletto, dell’Osservatorio astronomico di Padova, d’illustrarci qualche esempio di possibili applicazioni:

«I nostri colleghi del VIMM hanno un settore di studio sui meccanismi che avvengono nell’apparato auditivo, e in particolare nella coclea. Lo fanno su cavie, ed è necessario penetrare all’interno del canale auditivo della cavia. Ma questo, con gli obiettivi tradizionali, è praticamente impossibile. Richiede altre tecniche, per esempio di sezionare. Con i nostri obiettivi, invece, è possibile penetrare direttamente. Restando in ambito medico, le altre applicazioni sono quelle che hanno a che fare con le endoscopie. Perché con queste fibre, che sono delle vere e proprie lenti ottiche, è possibile realizzare sonde flessibili per endoscopia il meno invasive possibile».

Che ruolo gioca l’ottica adattiva – quella utilizzata nei grandi telescopi, come LBT – in questi sistemi?

«Chiariamo una cosa: la parte adattativa sta a valle degli obiettivi a fibra graded-index. Sono due oggetti distinti, dunque. È stato inserito nel cammino ottico del microscopio un sistema ad ottica adattativa perché questi obiettivi a fibra graded-index vanno corretti. Vanno corretti perché hanno problemi d’inserzione ottica: è facilissimo disallinearli, averli fuori fuoco. Ecco il vantaggio dell’ottica adattativa: correggendo tutti quegli effetti derivanti da disallineamenti meccanici o da tagli sbagliati della fibra, consente di ottenere le prestazioni massime da un obiettivo a fibra».

Per quanto riguarda, invece, la tecnologia  che sta a monte della parte adattativa?

«Diciamo che si tende a utilizzare tutta quella serie di tecnologie sviluppate nell’ambito dei sistemi MEMS/MOEMS (micro-electro-mechanical and micro-opto-electro-mechanical systems), che stanno uscendo oggi nel mercato. Un caso specifico è la stessa fibra graded-index a dimensioni ridotte. Oppure, ci sono i meccanismi per realizzare scansioni a beam, che sono indispensabili, nei microscopi, perché tutti hanno un’unità di scanning. Attualmente è molto costosa, ingombrante, problematica, con distorsioni e perdite di fotoni. Ma ora si può sostituire con dei microspecchi dalle dimensioni di mezzo millimetro di diametro. Costruiti anch’essi con tecnologie MOEMS, e realizzati praticamente a stato solido, incidendo su un substrato di silicio».

E com’è stata l’esperienza con i biologi?

«Penso che per  loro sia stato molto stimolante. Rispetto all’utilizzo classico che fanno degli strumenti, hanno avuto la possibilità di modificarli e ottimizzarli. Un’esperienza nuova, per loro, alla quale non sono abituati».

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