UNA CACCIA CHE DURA DA 50 ANNI

Onde gravitazionali: si stringe il cerchio

È più di una speranza, è quasi una promessa. Due astronomi INAF, che studiano l'inafferrabile radiazione prevista dalla teoria della relatività generale di Einstein, spiegano perché sono fiduciosi che ne verrà presto rivelato il segnale. Grazie a Planck e agli interferometri di nuova generazione, sulla Terra e nello spazio

     25/05/2010

“Le prenderemo”. Luigi Stella, astronomo ordinario dell’INAF Osservatorio Astronomico di Roma non ha dubbi. “Le onde gravitazionali hanno i giorni contati”. Da 50 anni gli scienziati danno la caccia senza successo a questa inafferrabile radiazione, prevista nel 1916 dalla teoria della relatività generale di Albert Einsten, eppure mai direttamente osservata.  “Si tratta di onde diverse da quelle elettromagnetiche; vengono generate da grandi masse di materia che subiscono delle fortissime accelerazioni”, spiega Stella. “Sappiamo da tempo che esistono in virtù di una serie di osservazioni indirette che confermano con precisione le previsioni della teoria di Einstein.  Non siamo mai riusciti ad acciuffarle direttamente, ma sono là e presto riusciremo a intercettarle”.

La ricerca delle onde gravitazionali – increspature dello spazio-tempo che si propagano alla velocità della luce e spostano impercettibilmente la materia, come una barca che si muove sulla superficie dell’acqua – potrebbe essere vicino a un punto di svolta. Su di loro pende un “mandato di arresto” internazionale e gli scienziati di tutto il mondo sono uniti per non ciccare il bersaglio.

Sguinzagliato sulle orme delle onde gravitazionali (tra le altre cose) c’è il satellite Planck dell’Agenzia Spaziale Europea, vero fiore all’occhiello per la ricerca scientifica italiana che ha realizzato uno dei due spettrometri a bordo, LFI (l’altro è HIFI) sotto la guida di Nazzareno Mandolesi dell’INAF-IASF di Bologna. Ebbene, come ribadito da una recente review sulla prestigiosa rivista Science, proprio sull’osservatorio Planck, lanciato nel 2009 per risalire all’alba del tempo, è riposta la massima fiducia di rilevare nel prossimo futuro tracce delle onde gravitazionali primordiali, quelle cioè generate dal grande scoppio, la creazione dell’Universo: il Big Bang.

Nella frazione di un secondo, l’Universo si è accresciuto da un puntino a un’enorme bolla, 10^26 volte più grande. “Studiando la radiazione cosmica di fondo con l’impareggiabile sensibilità del satellite Planck dovremmo riuscire a trovare tracce delle onde gravitazionali generate da quell’incredibile accelerazione di materia. Sarebbe un colpo grosso per testare la teoria dell’inflazione e avere informazioni preziose sui primi battiti della vita dell’Universo”, spiega Gianfranco De Zotti, astronomo ordinario presso l’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, parte della collaborazione italiana sul satellite Planck.

Se già è molto complesso rivelare le onde gravitazionali sprigionate da due stelle di neutroni, supernovae, magnetar e buchi neri, figuriamoci quale impresa al limite del possibile sia imbrigliare le onde gravitazionali primordiali. “Non sono percepibili dagli strumenti normalmente preposti allo studio di questa radiazione, sono onde a bassissima frequenza con lunghezze d’onda di dimensioni cosmiche. Planck potrebbe rilevarne il debolissimo segnale misurando le perturbazioni della polarizzazione del fondo cosmico”, prosegue De Zotti. Non è detto che ci riesca, ma è certo che farà molto meglio di quanto sia stato possibile fare finora. “Se anche Planck dovesse mancare l’obiettivo, sarà utile a fissare limiti superiori più stringenti per i satelliti che verranno”.

Parallelamente, si setaccia l’Universo vicino. “Sono già operativi due strumenti in grado di rivelare i segnali debolissimi prodotti dal passaggio di un’onda gravitazione: VIRGO situato nella campagna di Pisa, e LIGO, consistente in due stazioni negli USA”, riprende Stella. “Si tratta di interferometri, con bracci chilometrici dove corrono raggi laser riflessi centinaia di volte da un sistema di specchi. Sono in grado di registrare il passaggio segnali gravitazionali che provengono da distanze fino a circa 50 milioni di anni luce. Tuttavia, entro questo raggio di copertura, il passaggio di un’onda gravitazionale è un’eventualità rara, una ogni 10-100 anni”.

Ma questo scenario sta per cambiare. “Prima del 2020 – prosegue l’astronomo dell’OA di Roma – potremo disporre degli interferometri VIRGO e LIGO di seconda generazione. Questi nuovi strumenti permetteranno di affondare lo sguardo molto più lontano nell’Universo e rivelare ogni anno i segnali di molte sorgenti di onde gravitazionali di alta frequenza, quali stelle di neutroni che orbitano vicinissime prima di fondersi l’una con l’altra, esplosioni di supernovae o magnetar rapidissimamente rotanti. Qualche anno dopo, LISA, un interferometro spaziale frutto della collaborazione tra ESA e NASA consentirà di rivelare le collisioni di buchi neri supermassivi. Di fatto, si aprirà un nuovo affascinante capitolo nell’astrofisica del ventunesimo secolo e nello studio della gravitazione.”

L’Italia, con l’INAF, l’INFN e le università, è nella partita che, si spera, si chiuderà nei prossimi anni. “Il nostro paese ha una lunga tradizione in questo campo di ricerca, sin dai tempi di Edoardo Amaldi. Il contributo astrofisico è fondamentale per confermare ed interpretare i fenomeni rivelati dagli interferometri, attraverso osservazioni con i più potenti telescopi sulla terra e nello spazio”.

Ma perché le onde gravitazionali sono così importanti? “È uno degli aspetti fondamentali della fisica moderna e rimane da confermare con la verifica sperimentale: la prova del nove che inseguiamo da mezzo secolo”, chiarisce Stella. “Non solo. Poter osservare direttamente queste perturbazioni dello spazio-tempo ci darebbe la chiave di accesso a informazioni attualmente off limits e allo studio di fenomeni straordinari e finora insondabili”.